«La cultura che unisce». Il titolo dell’appello lanciato attraverso un piccolo e denso manifesto da Anna Crespi, fondatrice e direttrice degli Amici della Scala, ha il sapore di una chiamata collettiva nel momento del bisogno. È un po’ un «contiamoci», un «alzi la mano chi…», un «non si può più stare in silenzio».
Crespi ha inviato il suo manifesto al mondo della cultura — operatori, intellettuali, scrittori, musicisti, artisti — invitando chi fosse d’accordo con quelle parole che sottolineano «l’iniziativa di un progetto destinato a valorizzare l’immenso patrimonio dell’Italia», di aderire e firmare. Hanno risposto in tanti, dal direttore del «Corriere della Sera» Luciano Fontana a Claudio Magris e Ferruccio de Bortoli.
Crespi soddisfatta dice al «Corriere»: «Abbiamo avuto l’appoggio dei protagonisti di tutte le arti e di tutte le culture». E aggiunge: «C’è molta cultura viva in Italia. Si parla spesso di bellezza e a me piace pensare che la bellezza non sia mai separata dalla verità». L’unica «risposta — dice Luca Formenton de il Saggiatore — all’imbarbarimento e all’ignoranza diffusa sono l’educazione e la cultura».
Per l’architetto Stefano Boeri «in un momento storico in cui gli odi nazionalistici rischiano di innescare micce separazioniste, la cultura è un valore da promuovere e rafforzare, come trait d’union tra identità differenti. Un ponte che unisce tra loro individui, comunità e intere città». La scrittrice Paola Capriolo ha anche aderito all’appello perché la «cultura è diventata un patrimonio da dover difendere. Non è scontata la tensione da parte di coloro che la cultura dovrebbero tutelarla».
Con la cultura non si mangia, diceva qualcuno. Paolo Fresu, jazzista di fama internazionale: «Non è vero, invece è un volano straordinario per l’economia. Faccio l’esempio del mio Festival a Berchidda, in Sardegna. In ciascuna edizione, a partire da una spesa diretta dei visitatori sul territorio pari a 8 milioni di euro (di cui 6,3 milioni nei servizi), si generano 3 milioni di euro di valore aggiunto nel territorio. A fronte di un budget di circa 530 mila speso nell’organizzazione di ciascuna edizione del festival, ogni euro investito nell’evento ne produce 15 di spesa dei visitatori per 6 di valore aggiunto».
L’editrice Rosellina Archinto ricorda invece la crisi del proprio settore: «L’editoria è in grande sofferenza, il 16% degli italiani compra uno, al massimo due libri l’anno. Se non si legge, non si può conoscere. E per me la cultura è sinonimo di conoscenza».
Per il compositore Fabio Vacchi «è importante ricordare, proprio in un momento in cui si tende a dimenticarlo, che l’Italia possiede la stragrande maggioranza dei beni culturali del mondo». È d’accordo Alessandra Abbado dell’Associazione Mozart14, che porta avanti i progetti sociali voluti dal padre Claudio: «Ho sottoscritto perché tutti dobbiamo sostenere con forza ciò che abbiamo. Ciò che è nostro: il patrimonio culturale italiano». Le fa eco ancora Vacchi: «Lo diceva sempre Claudio Abbado che la cultura non è spesa voluttuaria, ma è un investimento a lungo termine. La cultura crea ricchezza. Ricordo che ai tempi dell’unificazione delle due Germanie furono annunciati pesanti tagli alla spesa pubblica. E, nella realtà, si rivelarono ancora più pesanti. Ma i tedeschi non tolsero un solo marco alla cultura e alle istituzioni culturali».
Alessandra Abbado ricorda che «esiste un’Italia che produce cultura e crea valore attraverso essa. Ed è lì che dobbiamo investire: nella scuola, nell’educazione artistica e nella musica. L’arte in tutte le sue forme apre a una prospettiva più ampia, porta bellezza in luoghi di emarginazione e di sofferenza, fornisce strumenti di riscatto personale e collettivo. Ci aiuta a immaginare un futuro senza conflitti e guerre. Che dobbiamo alle nuove generazioni».
Secondo l’analisi del compositore Giorgio Battistelli «bisognerebbe trasformare il territorio. Rendere più dinamiche le periferie culturali. Questo è un momento storico in cui ci vogliono azioni concrete. La politica non riesce a creare orizzonti. C’è un’assenza di visioni e una permanenza in un presente che è stagnante. Ciò che conta sono solo i numeri. Il metro di misura sulla qualità è diventato il numero, il pareggio di bilancio. Manca l’attesa. Tutti hanno fretta a vedere i risultati, ma in cultura sono sempre a lungo termine. La cultura è un organismo vivente. Lo devi nutrire tutti i santi giorni».