Commissione del Festival di Salisburgo e dei Wiener Philharmoniker in occasione del duecenotinquantenario della nascita di Mozart. Prima esecuzione, agosto 2007. Voce recitante Peter Simonischek, direttore Riccardo Muti.
Quando Peter Ruzicka mi chiese un brano da inserire nella grande e prestigiosa maratona mozartiana sulla quale sarebbe stato incentrato il Festival di Salisburgo, avevo in mente la figura di un Mozart colto e lucido, completamente calato nel suo tempo, la cui musica si sposa perfettamente con il suo modo di essere e di pensare. Il mio omaggio passa attraverso tre spunti fusi in un unico intento espressivo.
Intanto, l’idea del melologo nasce dal fatto che Mozart lo considerava un genere sommo, rammaricandosi di non poterne comporre molti, giacché gli venivano sempre chieste opere. Per quanto riguarda il testo recitato, nel luglio del 1791, Mozart termina la Cantata Die ihr des unermeßlichen Weltalls Schöpfer ehrt KV619, per voce e pianoforte, che indica nel suo catalogo personale come Eine Kleine Teutschein luglio com Kantate e che è dunque contemporanea al Flauto magico, alla Clemenza di Tito e al Requiem.
Le parole sono di Franz Heinrich Ziegenhagen (1753-1806), che i Mozart conoscevano probabilmente fin dal 1777, come testimonia l’epistolario. La Cantata apparve pubblicata, per la prima volta, proprio sull’edizione del 1792 di un trattato di Ziegenhagen intitolato La dottrina della giusta armonia con le opere del creato (Lehre vom richtigen Verhältnisse zu den Schöpfungswerken), dal quale – incredibile quanto questo fatto sia stato ignorato o sottovalutato – il testo stesso della KV619 è tratto.
Ho quindi pensato di usare stralci di tutta la Dottrina e non solo del capitolo sulla tolleranza religiosa utilizzato da Mozart. Si pensi solo alla frase pronunciata dal membro più anziano di un’assemblea che regge l’illuminata “colonia” in cui vige un giusto equilibrio tra proprietà e libertà: “Servi e serve e padroni e padrone, dipendenti e proprietari ereditari, poveri e ricchi cessano di esistere sul nostro territorio”. Ma colonie egualitarie e utopiche popolano altri libri dell’originale e selezionata biblioteca di Mozart: dal già citato Diogene di Sinope di Wieland al romanzo filosofico-pedagogico Automathes di Kirkby. In tal senso mi sono spontaneamente riallacciato, attraverso gli stralci dalla Dottrina di Ziegenhagen, all’utopia etica ed estetica che animò l’arte e la vita di Mozart.
Come terzo intento, ho voluto scrivere un brano che tenesse conto dell’innovazione linguistica della sua opera, trasferendola nel nostro tempo. Tanto che la composizione è, fino alla danza conclusiva, rigorosamente atonale. Ciò nonostante ho cercato, come sempre nella mia estetica e seguendo il sommo esempio mozartiano, di recuperare la comunicatività come patrimonio collettivo. Avanguardia sì, ma con rispetto della tradizione e senza rigidi dogmatismi. In relazione al tema conclusivo della gioia e dell’armonia, così cara ai massoni frequentati da Mozart e a Mozart stesso – tema frequente nelle sue lettere e quasi dominante nella sua biblioteca utopistica e giacobina – , ho concluso il brano con un gesto forte, costituito da una tarantella ironica, visionaria, che allude sia al suo amore per la tradizione mediterranea e italiana ( di cui mi faccio portavoce) sia alla sua capacità straordinaria di credere che un mondo migliore potesse essere costruito anche grazie al riso, da quello bonario e liberatorio a quello sardonico e trasgressivo. Quindi, se la prima parte è più riflessiva e traduce l’inquietudine di un mondo che allora e oggi è ancora oppresso da ingiustizie, il finale vorrebbe essere un inno alla fiducia di Ziegenhagen e di Mozart che la vita, individuale e sociale, possa migliorare per tutti. Con un occhio particolare al corpo, all’amore, al gioco e all’arte come dimensioni che non vanno considerate slegate da un serio impegno etico e sociale.