Mare che fiumi accoglie trae il suo titolo dalla lettura di Arte d’occidente e arte d’oriente di Flavio Caroli (Electa, 2006) e, in particolare, da questa frase: “Così si è strutturato, evoluto e fuso il destino delle civiltà. Prima, le culture erano montagne. Hanno fatto di tutto per diventarlo. Poi, poco per volta, le montagne si sono sciolte e stanno diventando un mare”.
Convinto che non ci possa essere scontro di civiltà, perché le civiltà per loro natura si incontrano, ho cercato, in Mari che fiumi accoglie, di sintetizzare ciò in cui credo da sempre, forse con maggiore radicalità e rigore rispetto a quanto fatto finora. Come non ho mai sopportato dogmatismi confessionali o ideologici, altrettanto ho diffidato di quelli estetici o stilistici. Non è l’uso di questo o di quel materiale che consente giudizi spesso affrettati di sperimentalismo, conservatorismo ecc. Ci sono autori, come Bach o Mozart, che hanno introdotto la novità nelle pieghe di convenzioni linguistiche assimilate. E chi, come Monteverdi o Schönberg, ha lucidamente elaborato originali soluzioni espressive. Non ha senso concepire la storia come una gara.
Tale concezione è viziata dal positivismo e dall’enfasi retorica di un “progresso” teso unilateralmente verso un “meglio”, un “avanti”, un “nuovo”. Nella mia visione relativista, invece, la gerarchia di valori va continuamente cercata, messa in discussione, ripensata. Ed è sul piano della sua efficacia e della sua profondità che può essere giudicata. Quindi, ben vengano i fiumi, che arrivino dalla storia d’occidente e d’oriente, che siano portatori di punti di vista etici, religiosi o agnostici, estetici della più varia natura. Non per disperdere in un superficiale eclettismo origini ed evoluzioni molteplici, ma per accoglierle in una dimensione che si faccia specchio di una società tollerante, aperta, multietnica. La musica è, più di qualsiasi altra arte, predisposta a questa malleabilità, che può farsi emblema di una tendenza ben messa in luce da Flavio Caroli. Non dobbiamo avere paura di perdere le nostre radici, ma dobbiamo cercare di rafforzarle nel confronto continuo con le altre, in vista di un mondo dove le specificità – etiche, estetiche, culturali, religiose, politiche, etniche – non siano più eredità pregiudiziali o vicoli ciechi, ma spazi da scegliere liberamente.
La trasposizione della teoria dei segni all’analisi dei fenomeni musicali, non solo di matrice europea e anche nelle sue implicazioni espressive e soggettive ( si pensi, nel substrato sonoro mediterraneo, il peso del canto arabo e di quello kletzmer, nel finale, in contrappunto con un tema dell’Africa centrale) così come è stata teorizzata e approfondita, ad esempio, da Nattiez, ha condizionato la forma del pezzo sia per quanto riguarda le microstrutture, che per quanto riguarda la macroforma.